L’importante risultato è stato raggiunto in Italia, grazie al lavoro di Nerviano Medical Sciences e Fondazione IRCSS Istituto Nazionale dei Tumori
Le colture cellulari si possono paragonare ad un esploratore che per primo si inoltri in un territorio sconosciuto al fine di definirne i confini. I risultati degli esperimenti sulle colture cellulari, un po’ come i dati raccolti dall’esploratore, sono fondamentali per portare sulle carte la geografia di un mondo nuovo. E una delle ultime frontiere da esplorare è quella del cordoma, un raro tumore maligno a crescita lenta che rappresenta l’1-4% dei tumori dell’osso e che interessa, principalmente, le regioni della colonna vertebrale nella base cranica e nella zona sacrale.
“Il cordoma è un tumore dell’osso costituito da cellule dal tipico aspetto “fisaliforo”, cioè ricche di bollicine all’interno, che derivano da residui di cellule fondamentali durante lo sviluppo embrionale”, spiega la dott.ssa Paola Magnaghi, responsabile del laboratorio di Biochimica presso il Nerviano Medical Sciences (NMS) di Nerviano (Milano). “Queste cellule rimangono normalmente quiescenti per la maggior parte della vita. Se a un certo punto tornano ad assumere caratteristiche embrionali, ricominciano a dividersi e danno origine al tumore”. Generalmente, gli uomini sono colpiti in maggior misura rispetto alle donne e, nella maggior parte dei casi, i cordomi interessano soggetti di età compresa tra i 40 e i 60 anni, pur senza risparmiare adolescenti e bambini. “È una malattia estremamente invalidante che inizialmente causa una compressione del midollo spinale, dei nervi che da esso originano e dell’encefalo e, in fase avanzata, coinvolge anche gli organi interni”, continua Magnaghi. “La localizzazione del tumore in molti casi determina l’insorgenza di una sintomatologia specifica: ad esempio, i tumori che interessano la colonna vertebrale possono essere associati a forti dolori alla schiena, stanchezza e intorpidimento degli arti. Questo ha un impatto notevole sulla qualità di vita del paziente”.
La diagnosi può giungere solo attraverso la stretta collaborazione di oncologi, radiologi e chirurghiche mettano insieme l’osservazione clinica e l’ausilio di tecniche radiografiche o di imaging quali TAC e risonanza magnetica. Tuttavia, il cordoma possiede caratteristiche distintive che possono essere utilizzate come biomarcatori specificamente espressi dalla malattia. “Questo tipo di tumore tende a esprimere un fattore di trascrizione molto particolare che gioca un ruolo importante per lo sviluppo embrionale”, spiega ancora Magnaghi. “Si tratta di brachyury, una proteina chiave per lo sviluppo dell’asse antero-posteriore dell’embrione, il quale, senza brachyury non potrebbe mai assumere le caratteristiche di un individuo. La specifica espressione di brachyury in relazione al cordoma ne ha fatto un marcatore utile in fase diagnostica e un essenziale tassello di caratterizzazione delle poche linee cellulari esistenti per questo tumore”. L’espressione di brachyury, insieme a quelle di vimentina, di CD24v, dell’antigene epiteliale di membrana (EMA) e delle citocheratine 19 e CAM5.2, completa il quadro istologico di un tumore di cui si hanno ancora poche informazioni e per il quale manca una terapia specifica. “I pazienti con diagnosi di cordoma vengono trattati con terapia chirurgica adiuvata da radioterapia ad alte dosi”, aggiunge Magnaghi. “Purtroppo non esiste, ad oggi, un trattamento medico approvato che sia veramente efficace per i pazienti che non possono essere trattati con chirurgia e/o radioterapia”.
“Uno dei limiti nella ricerca su questo tumore raro – prosegue l’esperta – è che esistono pochi modelli a livello preclinico che ci consentano di approfondirne lo studio. Tipicamente, in oncologia si sviluppano e si testano le attività dei farmaci studiando le linee cellulari ottenute da un particolare tipo di tumore. Quando abbiamo iniziato lo studio dei cordomi esistevano solo una o due linee cellulari, e questo ha reso molto difficile studiarne il comportamento a livello preclinico”. Tuttavia, dopo anni di duro lavoro, le ricercatrici del Nerviano Medical Sciences, in collaborazione con un team di scienziati della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano, sono riuscite nell’impresa di stabilizzare una nuova linea cellulare di cordoma (Chor-IN-1). A partire da un frammento chirurgico ottenuto da un paziente di 55 anni affetto da cordoma sacrale e messo a disposizione dai colleghi dell’Istituto Nazionale Tumori, è stato possibile coltivare in vitro le cellule tumorali fino a stabilizzarle ed ottenere una linea cellulare del tumore. L’impresa, descritta nel dettaglio in un articolo apparso sulla rivista Scientific Reports, è stata ardua perché le cellule di cordoma crescono molto lentamente sia in vitro che in vivo, tanto che possono trascorrere anni prima che il tumore possa essere diagnosticato.
“Nella prima fase del lavoro abbiamo stabilizzato la linea cellulare attraverso un percorso costituito da più di 50 passaggi di crescita in vitro, durato quasi un anno proprio perché si trattava di cellule a crescita lenta”, precisa Roberta Bosotti, responsabile dei laboratori di Genomica e di Next Generation Sequencing (NGS) del Nerviano Medical Sciences. “Grazie alle nuove tecnologie di NGS, che ci permettono di analizzare a livello di DNA e RNA le linee cellulari, siamo riusciti a caratterizzare questa nuova linea e l’abbiamo confrontata con le altre poche linee cellulari disponibili (U-CH1, U-CH2, MUG-Chor1 e JHC7), ottenute tramite la Chordoma Foundation, ovvero l’associazione dei pazienti affetti da cordoma. Abbiamo verificato in maniera estensiva l’eventuale presenza di alterazioni specifiche nel genoma, quali mutazioni, variazioni del numero di copie dei geni o grossi riarrangiamenti cromosomici. Questo passaggio è stato eseguito sia con tecnologia NGS applicata al DNA che con il più classico CGH-array, ottenendo risposte molto precise e concordanti”.
In questo modo, è stato possibile osservare che le linee cellulari di cordoma, come già riportato per i campioni clinici, sono caratterizzate non tanto da un alto tasso di mutazioni puntiformi ma da grossi riarrangiamenti cromosomici. “I cordomi presentano sia riarrangiamenti cromosomici presenti in zone fisse di tutte le linee, sia riarrangiamenti che variano notevolmente da linea a linea”, prosegue Bosotti. “Abbiamo anche analizzato l’RNA di queste linee e l’espressione genica corrispondente, e ci siamo focalizzati sulle protein-chinasi, quali EGFR, PDGFR-Beta e c-MET, particolari proteine molto adatte allo sviluppo di farmaci mirati. Le chinasi, infatti, sono generalmente espresse in modo paragonabile nelle diverse linee di cordoma, anche se alcune di esse presentano un profilo di espressione peculiare e molto diverso tra le linee”.
Essere state in grado di studiare a fondo una nuova linea cellulare ha permesso alle ricercatrici del Nerviano Medical Sciences di tagliare un importante traguardo nella ricerca di una cura al cordoma: occorre, infatti, trovare nuovi e diversi modelli cellulari su cui testare i farmaci e valutarne l’efficacia. “L’attività svolta in collaborazione con l’IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, in particolare con la dott.ssa Silvia Stacchiotti della U.O.C. dedicata ai tumori mesenchimali dell’adulto e ai tumori rari, ha condotto a uno scambio molto importante di conoscenze”, precisa la dott.ssa Antonella Isacchi, Direttrice e responsabile del Dipartimento di Biotecnologie nonché coordinatrice della piattaforma chinasica di Nerviano Medical Sciences. “È stata la base per andare oltre la prima fase di caratterizzazione del tumore e cercare nuovi approcci farmacologici. Al momento stiamo studiando le librerie di composti chimici focalizzate sulle chinasi, per identificare farmaci già in uso clinico in diversi contesti tumorali che possano risultare efficaci anche nel trattamento dei cordomi”.
Ad oggi, la terapia del cordoma si basa su un adeguato approccio chirurgico e radioterapico, da effettuarsi dopo valutazione multidisciplinare presso centri con esperienza nel trattamento di questa malattia. Se la rimozione chirurgica è completa si possono evitare le recidive. Invece, se la chirurgia e/o la radioterapia non sono adeguate il paziente rischia di incorrere, anche dopo molti anni, in recidive locali difficili da trattare e che tendono a metastatizzare in varie parti del corpo, come i polmoni, lo scheletro e il fegato, divenendo così difficilmente guaribili. Soprattutto per questi pazienti sono necessari nuovi farmaci. Per tale ragione è fondamentale puntare sullo studio di nuove linee cellulari su cui testare farmaci a bersaglio molecolare e, più in generale, su nuove terapie che colpiscano in maniera precisa ed efficace il cordoma, aprendo la strada a future possibilità di cura per i pazienti.
FONTE: ossevatorimalattierare.it